Omosessualità. Persona o ambiente: di chi è il problema?

di chi è il problemaE’ possibile rispondere alle domande “Perché l’omosessualità? Da dove ha origine?”.

Numerosi studi di tipo genetico, ormonale, socio-culturali… non hanno dato delle risposte che siano in grado da sole di spiegare tale questione. Di fatto, il dibattito che riguarda l’orientamento sessuale è un continuo alternarsi di ipotesi che oscillano tra natura e cultura, tra determinismo e influenze ambientali. Si è omosessuali o lo si diventa?

Vittorio Lingiardi (2007) afferma che il fenomeno dell’omosessualità esiste da sempre e non è questione di scelta, spostando l’attenzione sul come è possibile vivere l’omosessualità, sul come la società pensa di porsi di fronte al fenomeno.

Forse, non dovrebbe essere l’omosessualità l’oggetto dello studio attuale, quanto piuttosto l’omofobia e tutte le sue declinazioni.

Di fatto, nel 1947 il biologo Alfred Kinsey pubblicò il primo dei due volumi del suo rapporto, chiamato Kinsey, dedicato al comportamento sessuale maschile. La novità del rapporto stava nel metodo utilizzato il quale catalogava i soggetti in base non a ciò che dichiaravano di essere, ma in base ai comportamenti sessuali che affermavano di avere tenuto. Grazie a tale studio il biologo scoprì che quasi la metà dei soggetti studiati aveva avuto contatti sessuali protratti fino all’orgasmo con una persona dello stesso sesso almeno una volta nella vita. Inoltre, il 5% (una su venti) fra le persone studiate aveva avuto esclusivamente rapporti omosessuali nel corso della sua vita dopo l’adolescenza, e un ulteriore 5%, pur avendo avuto rapporti con entrambi i sessi, ne aveva avuti in prevalenza col proprio sesso.

Le statistiche fornite, ovviamente, suscitarono un’infinità di polemiche e al biologo non furono finanziate ulteriormente le sue ricerche.

Per questo motivo la stima dell'”uno su venti” (cioè del 5%) continua ad essere considerata come la più attendibile da un punto di vista scientifico, al punto da essere adottata ufficialmente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per valutare l’incidenza dell’omosessualità esclusiva all’interno della popolazione umana.

La normalità nella nostra società è data da andamenti statistici considerati e assunti come giusti e naturali, tanto che la contravvenzione agli stessi può determinare il dubbio di trovarsi di fronte ad una manifestazione psicopatologica.

Di fatto i sessi non sono così rigidamente definiti o definibili e possono esserci tante modalità di essere uomini e donne quante sono le persone sulla faccia della Terra. Possono esserci infiniti casi in cui un uomo sia più simile ad un donna che ad un altro uomo, o una donna sia più simile ad un uomo che ad un’altra donna. Le persone sono così diverse tra loro e le loro personalità complesse che non si possono distinguere rigidamente in due categorie: quella maschile e quella femminile.

Eppure, nonostante le percentuali, in numerosi testi di psicologia di sviluppo, nella sezione dedicata allo sviluppo dell’identità, non vi è alcun accenno al fenomeno dell’omosessualità. E questo la dice lunga sullo stato dell’arte dell’argomento in questione.

Detto questo: è un problema in sé essere omosessuali o è un problema non sentirsi riconosciuti, accolti e amati dal proprio contesto di appartenenza a causa del proprio orientamento sessuale?

Sempre Vittorio Lingiardi in Citizen gay scrive: “Quella omosessuale è una minoranza un po’ diversa dalle altre: non può contare su modelli positivi di riferimento, e difficilmente trova sostegno nella propria famiglia, che può anzi assumere atteggiamenti ostili e di rifiuto esplicito”. (p.77)

“Ancora oggi il bambino e l’adolescente omosessuali crescono per lo più soli, cercando la comprensione e la conoscenza di sé nei media o, privilegio di pochi, nella letteratura. Raro o fortunato è l’incontro con adulti facilitanti o semplicemente comprensivi, e solo in un secondo momento arriva l’incontro con altre persone gay o lesbiche” (p.79)

“[…] le strutture dell’autorevolezza sociale, quantomeno in Italia, continuano ad essere segnate dall’eterocentrismo (eterosessualità come dimensione fondativa del sociale), dell’eteronormatività (eterosessualità come principio regolatore) e dell’eterosessismo (negazione e squalifica dei comportamenti e delle relazioni non eterosessuali)” (p.85)

Concludendo, non è forse facile avere difficoltà a scoprirsi e poi ad accettarsi come omosessuale in siffatto contesto? Quindi da “riparare” è la persona o l’ambiente?

Dott.ssa Elisabetta Gusmini

Psicologa Treviglio

Bibliografia

Lingiardi V. (2007), Citizen gay : famiglie, diritti negati e salute mentale. Il Saggiatore, Milano

Commenti