L’Omofobia è quell’atteggiamento culturale derivante dal contra natura, ossia tutti quei comportamenti suppostamente contrari alla volontà di Dio e alla morale pubblica, non conformi alla “natura”. L’omofobia è una costruzione sociale basata proprio su tale pregiudizio. E con il quale le persone omosessuali devono fare i conti, tutti i giorni.
Il termine omofobia è stato però oggetto di critica poiché non ha nulla a che fare con la fobia clinicamente intesa, sia rispetto alle reazioni che genera nella persona (violenza, atti ostili versus evitamento-fuga) sia perché concentra sul singolo problematiche che hanno, al contrario, una collocazione sociale. Il termine quindi rimanda alla sfera semantica della malattia piuttosto che a quella dei fenomeni sociali.
L’omofobia riguarda, pertanto, il pregiudizio, la discriminazione o il razzismo piuttosto che la fobia, si può manifestare in modo diretto o indiretto, verbalmente o attraverso vere e proprie aggressioni e colpisce soprattutto i maschi.
Circa quest’ultimo aspetto, Pedote e Lo Presti (2003, p. 4) scrivono: “L’omofobia è rivolta quasi esclusivamente ai maschi e a un tradimento originario del loro ruolo sociale. La preponderanza dei testi che trattano del maschio ‘deviato’ alla pratica della sodomia, rispetto a quelli che condannano l’amore tra donne, mostra quanto l’impronta sia storicamente diversa. La millenaria inferiorità riservata alle donne, ha maggiormente preservato anche le lesbiche da una forte discriminazione: una volta assolto il ruolo di sposa e di madre nella cultura patriarcale, la marginalità in cui hanno vissuto non ha rappresentato un effettivo problema al potere maschile”.
Lingiardi (2007) afferma che l’omofobia riflette il bisogno di mantenere una rappresentazione stabile e immodificabile del contesto sociale, che garantirebbe all’individuo la salvaguardia delle posizioni sociali. Da qui la considerazione che le risposte omofobiche possano essere considerate delle strategie cognitive a scopo autodifensivo rispetto ad una immaginaria minaccia di disordine.
Secondo Montano (2000) questo processo di colpevolizzazione ha riguardato nel corso della storia tutte le minoranze, in quanto portatrici di valori alternativi, diversi, e per questo destabilizzanti rispetto alle convenzioni largamente accettate.
In particolare, il pregiudizio omofobico trova le sue origini da una parte nella censura verso un comportamento non adeguato al progresso civile nella costruzione che Platone aveva proposto della sua città utopica, dall’altro il rifiuto per ogni sessualità non conforme al volere di Dio, secondo le regole del cristianesimo nascente.
Il controllo della sessualità definito da queste due tradizioni, trova poi un punto di convergenza nell’Impero Romano, che inizierà a produrre una legislazione punitiva.
Di fatto però, nella nostra società sono numerosi i cambiamenti rispetto al passato. L’utilizzo di metodi contraccettivi ha fatto sì che la sessualità fosse sempre più slegata dall’aspetto riproduttivo; ogni coppia infatti può scegliere se e quando avere un figlio lungo il proprio percorso di vita a due, nel quale la sessualità è anche e soprattutto ricerca del piacere e modalità di relazione.
Probabilmente l’omosessuale ricorda in continuazione questa disgiunzione.
Tra le cause dell’omofobia Herek (1991) ha individuato da una parte dei fenomeni sociali per cui ogni gruppo cerca di migliorare la propria posizione screditando l’out-group: l’omosessualità maschile destabilizza all’interno di una società patriarcale, sessista e che ha posto l’eterosessualità come valore fondante; dall’altra ci sono aspetti di ordine psicologico tra cui:
Di fatto, Paolo Valerio, direttore della Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica dell’Università Federico II di Napoli e presidente della Fondazione “Genere Identità Cultura”, uno dei massimi esperti clinici in Italia sulle questioni inerenti l’identità di genere afferma, in un’intervista a Antonio Rossano del 28 ottobre 2015, che: “La conoscenza è il primo elemento per superare il pregiudizio e lo stigma. Per poter individuare nella cultura della differenza un valore e non un limite”.
Dott.ssa Elisabetta Gusmini
Psicologa Treviglio