I figli sono un tesoro meraviglioso, un dono di cui prendersi cura, un’occasione di confronto costante e un’opportunità di crescita personale.
La relazione con i figli richiede però, dal mio punto di vista, una costante manutenzione delle distanze.
Non sempre è facile o semplice. Come fare?
Per una vita un’intera (ovviamente la mia) ho desiderato dei figli tanto che, quando è arrivato il primo mi sembrava che ci fosse sempre stato. Il tempo magicamente ha avuto un sapore diverso, era scandito dai sui ritmi e non mi pesava affatto, anche se ho dovuto imparare cosa fosse avere la responsabilità di una persona totalmente dipendente da me.
Pensando a questo mi vengono in mente due episodi.
Il primo è legato al primo giorno in ospedale.
Il mio bambino è nato di notte. L’ho rivisto solo nella tarda mattinata. Ero ancora affaticata dal parto e dolorante dai punti. L’infermiera festante mi comunica che il piccolo era stato bravissimo e aveva dormito tutta la notte. Nella mia ingenuità ho pensato: “E quindi? A me che importa?”. L’ho scoperto poi 🙂
Il secondo episodio riguarda invece una piccola discussione che ho avuto con il padre del piccolo nemmeno un mese dopo il nostro essere diventati genitori. Avevamo concordato che mi sarei concessa un’uscita in bicicletta, tutta sola e invece per un imprevisto lui arriva tardi. Il mio tempo era scaduto… di lì a poco nostro figlio avrebbe avuto bisogno di me per mangiare.
Perché queste esperienze mi hanno fatto maturare, mi han fatto sperimentare con mano il filo sottile che unisce e anche divide un figlio dal proprio genitore. Un figlio non è tuo, eppure sei chiamato, ti sei chiamato, a prendertene cura.
Prova a guardare questo video: “Sono la mia vita”
Un figlio volerà via, parafrasando le parole di K. Gibran, e tu resterai a guardare le sue piroette a dispetto di tutte le fatiche, le notti insonni, le arrabbiature e le corse.
C’è anche una bellissima canzone di Ligabue cantata da Elisa (ma anche da lui) che dice: “Ogni compleanno vai un po’ più via da me” (“A modo tuo” cantata da Elisa , “A modo tuo” cantata da Ligabue). Anche questo pensiero esprime brillantemente quello che accade nella relazione tra genitori e figli.
Non accettare questa evoluzione ineluttabile della vita è rischioso, e a farne le spese sono sia i figli che i genitori.
L’arrivo di un figlio, sia esso desiderato o meno, cercato o capitato, sia naturale o adottato, sia esso il primo o il terzo, implica la ristrutturazione della propria esistenza, della propria identità di fronte a se stessi e agli altri, implica la ridefinizione delle relazioni entro le quali si è inseriti. E questo passaggio non è sempre semplice.
Si passa dai primi giorni e mesi di assoluta dipendenza del bimbo a chi se ne prende cura, per passare ad un graduale allontanamento di sperimentazione. Dal non avere assolutamente tempo per sé (o quasi) a riconquistarlo piano piano e comunque dettato dai tempi del bambino. Fino a quando è lui che “non vorrà” più te.
“Ma come, con tutto il tempo che ti ho dedicato è così che mi ripaghi?” si può ingenuamente pensare. Invece è proprio questo il cammino da compiere.
Ricordare chi si è indipendentemente e nonostante i figli (o i genitori).
(Prova a guardare questo video mettere gli altri prima di noi stessi?)
I figli sono una componente importante della vita dei genitori così come i genitori sono una parte fondamentale nella vita dei figli, ma gli uni non sono la vita degli altri. E’ poco sano vivere in funzione dell’altro. Si carica l’altro di una responsabilità enorme, di una responsabilità che non si potrà portare a compimento fino in fondo, perché paradossale. Come fare ad essere la felicità dell’altro?
Perciò continua a coltivare i tuoi interessi, si traduca questo in un hobby o un lavoro, va comunque bene.
Nutrire anche se stessi è la chiave per permettere all’altro di crescere al massimo del suo splendore.