Quando il dubbio, da via per dare vita alla creatività, diventa trappola che ingabbia? Quando il pensare diventa pensare troppo? E se si è incappati nel dubbio patologico, come fare ad uscirne?
L’uomo moderno spesso vive nell’illusione di poter dominare tutto attraverso la conoscenza. E’ vero, Bacone diceva “la conoscenza è potere”, ma probabilmente non avrebbe potuto immaginare la perversione a cui si sarebbe potuto arrivare.
Sicuramente attraverso la passione per la ricerca a cui le domande inducono, ha permesso di progredire enormemente e di migliorare le condizioni di vita dell’uomo. Tuttavia non tutte le domande hanno una risposta certa, definitiva, assoluta. Perché proprio a noi è capitata quella determinata cosa? Di fatto non c’è alcuna conoscenza che da sola possa metterci al riparo da possibili rischi.
E’ certo ed evidente agli occhi di tutti che il benessere si costruisce a più livelli: il pensare, l’agire, il sentire. Se manca armonia tra questi diversi piani, e per lungo tempo, è probabile che un problema si presenti. Si verifica anche nel momento in cui si cerca di rispondere insistentemente e in modo spropositato a una difficoltà su un piano, agendo sul livello sbagliato. Per fare un esempio: se il mio dilemma è: “sono innamorato o no?”, posso trovare una soluzione ragionando? Forse no, che dite voi?
Io credo piuttosto che questo modo di procedere, cioè quello di trovare necessariamente delle risposte alle nostre domande, anche sbagliando il piano di intervento, nasconde probabilmente l’emozione della paura e il desiderio di tenere ed avere tutto sotto controllo.
Di fatto però l’unica certezza è che non esistono certezze. Krishnamurti aggiungeva che “la paura è l’insicurezza in cerca di certezza”.
Quindi il dubbio, se nasconde la paura, non può essere risolto con il ragionamento, ma prendendosi cura dell’emozione, passando dalla sperimentazione di una nuova visione delle cose.
Le persone che soffrono di dubbio patologico possono manifestarlo perché:
Tutte e tre le tipologie possono avvalersi, nel tentativo di ridurre lo stress che deriva dal non giungere mai ad una risposta soddisfacente, di una strategia che si rivela, in molte occasioni, disfunzionale: la delega. Questa modalità di procedere non fa altro che confermare e aumentare ulteriormente i dubbi che nutriamo nei confronti delle nostre capacità. Delegare ad altri inoltre implica che poi dobbiamo subire la loro decisione, perdendo il nostro potere.
Ciò che mi colpisce sono questi due aspetti: il primo è che più si hanno conoscenze, più aumentano gli enigmi da svelare, il secondo è che in certe circostanze conosciamo in virtù della nostra azione e del nostro metterci in gioco.
Quindi il ragionamento logico non è da demonizzare in assoluto, ma da circoscrivere a contesti che gli sono propri. Se devo partire per un viaggio, è utile domandarsi cosa sia utile mettere nella valigia in funzione del luogo presso cui intendo andare, se ho bisogno di un’auto è oltremodo conveniente chiedersi quale modello soddisfa le miei necessità e le mie disponibilità economiche, se devo scegliere il mio percorso formativo è salutare soffermarsi a riflettere sulle personali propensioni, abilità e attitudini.
Ma se devo decidere se perdonare una persona che mi ha tradito, se andare a convivere oppure no, oppure se volessi sapere perché proprio io ho contratto una malattia o un mio caro è venuto a mancare, il ragionamento logico non aiuta affatto, anzi complica ampiamente la questione.
Perciò ecco alcune domande che spero possano aiutarti a capire dove ti collochi:
Il dubbio ti porta a cercare l’azione più adeguata, è una sfida per migliorare la performance, o il tentativo di essere sicuro al 100% di stare compiendo la scelta giusta?
L’obiettivo del tuo pensare è l’agire efficacemente oppure ti accorgi di pensare per pensare e facendo così un pensiero nutre un altro pensiero senza mai fine?
Quando ti dai una risposta sei più tranquillo o al contrario il dubbio cresce?
Se hai risposto preferendo la seconda opzione della domanda è molto probabile che tu non accetti il fatto che tutto non si possa sapere alla perfezione e che questo ti produca sofferenza perché non riesci a prendere una decisione, se non a costo di grandi sforzi. Quindi il confine tra il dubbio sano e il dubbio patologico è proprio l’azione. Il dubbio sano porta all’azione, quello patologico alla paralisi.
Come avrai capito il problema non è tanto la domanda )che probabilmente si infila nella tua mente senza che nemmeno te ne accorga), ma la risposta che cerchi di dare a tale domanda.
Perciò se proprio delle domane devi fartele prova a porti queste:
Quale altra informazione dovrei avere per poter scegliere?
Può essere che ponendoti questo quesito tu ti accorga che di fatto sei arrivato al capolinea, che nessun’altra informazione potrebbe aggiungere elementi che potrebbero aiutarti a cambiare la visione delle cose, così come te le sei prefigurate. L’unico passo da compiere è proprio l’azione, il provare, il verificare.
Cosa è la peggior cosa che potrebbe succedere se sbagliassi scelta?
Concentrati perciò sulla risposta che tale domanda ha fatto emergere e prova a lavorare su di essa. Intanto ciò che desidero farti notare è che ogni volta che si prende una decisione, non si è più gli stessi. Cosa voglio dire? Che nel mentre ci immergiamo in ciò che la nostra scelta ci porta a vivere, proprio perché la viviamo e non la pensiamo e basta, tutto apparirà diverso, più concreto e quindi possibile di modifica ed elaborazione. Spesso è solo vivendo delle situazioni che possiamo capire che direzione prendere. E se proprio non ci piace, non ci sentiamo a nostro agio, possiamo rivedere la nostra scelta, la nostra posizione, con un bagaglio in più di conoscenza su noi stessi. Come già facevo notare prima, per quanto noi cerchiamo di capire a priori se una decisione sia la migliore per noi, non tutte le scelte vanno compiute solo ragionando.
Se nemmeno queste domande sono riuscite ad esserti di aiuto, allora interrompi la risposta. Non rispondere più alle domande che hai capito non avere una risposta. Perché è il rispondere che produce un’altra domanda che ne genera poi un’altra, e un’altra all’infinito. Di a te stesso: “Caro Luca, Samuele, Giuseppe… Carissima Sabrina, Filomena, Cristina… lascia perdere!”.
Se nemmeno così riesci a bloccare il flusso di domande allora scrivi! Metti per iscritto le tue domande e le tue risposte, così come si presentano nella tua mente. Non pensare, fallo!
Buon lavoro!
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Dott.ssa Elisabetta Gusmini
Psicologa Psicoterapeuta Treviglio