Ciascuno di noi costruisce nel tempo, sulla base di esperienze, incontri e pensieri un’ immagine mentale di se stesso. Questa immagine è un po’ come se fosse il proprio personale biglietto da visita.
Di fatto, sulla base di tale immagine e di ciò che si pensa di sé, ciascuno si relaziona agli altri e agli eventi che la vita presenta.
L’immagine che ognuno ha di se stesso è piuttosto stabile e per essere modificata richiede un notevole sforzo. Come esseri umani troviamo meno dispendioso mantenere le cose come stanno (anche se ci fanno stare male) piuttosto che riaggiustare il tiro circa l’incongruenza che è venuta a crearsi tra quanto crediamo e quanto ci è accaduto. Per questo motivo tendiamo a escludere (minimizzare, ridicolizzare) tutte quelle informazioni che contrastano con l’idea che ci siamo fatti di noi.
Faccio un esempio.
Pietro si ritiene una persona sensibile. Quando gli capita di uscire con amici reagisce emotivamente nei diversi momenti della conversazione: si arrabbia quando gli altri non son d’accordo con lui, si sente minacciato se qualcuno dimostra di saper fare meglio di lui, si sente incompreso o non apprezzato se chi lo circonda non gli fa domande personali. Ciò che emerge è che Pietro finisce per considerare gli amici in questione egoisti e insensibili. Se uno di loro affermasse esplicitamente: “sei presuntuoso, pensi di avere sempre ragione tu? Sei così preoccupato di te stesso che non presti attenzione a ciò che ho da dirti. Non mi interessa più uscire con te”, Pietro concluderebbe che starà anche meglio senza un amico tanto insensibile.
Un altro esempio.
Se una persona pensa di non meritare amore (di non essere attraente, interessante, desiderabile…) probabilmente non risponderà positivamente all’interesse degli altri, perché tale attenzione verso di lei non corrisponderà all’immagine di sé che la persona si è costruita sulla base di esperienze precedenti. Se qualcuno dovesse usarle qualche gentilezza, lei probabilmente metterà in dubbio le sue intenzioni: “Perché cerca di essere carino con me? Gli faccio pena? Quale è il suo secondo fine?”. Di fatto il suo rifiutare l’affetto degli altri comporta l’impossibilità di sperimentare l’essere amati che confermerà a sua volta la convinzione di partenza di non meritare amore.
Tale meccanismo (la tendenza a mantenere una condizione di armonia fra comportamenti, credenze, valori, decisioni) viene chiamato “dissonanza cognitiva” e di per sé non è né buono né cattivo. Anzi è utile al mantenimento della stabilità delle esperienze e alla coerenza della nostra storia personale. Di fatto però, attraverso questo processo, possiamo inutilmente porci dei limiti e perdere occasioni preziose per la nostra crescita personale.
Il meccanismo della dissonanza cognitiva ci permette di trovare una certa stabilità nei nostri atteggiamenti e comportamenti a quanto ci accade. E’ come se indossassimo delle lenti colorate attraverso le quali osservare il mondo e spiegarcelo. Se una persona si ritiene per bene e le capita di fare un torto a qualcuno, secondo voi cosa si dirà? Probabilmente tenderà a giustificarsi dicendosi che “era stressata” così da poter continuare a dire a se stessa di essere una brava persona.
Se noi pensiamo di non essere capaci di fare una cosa probabilmente non proveremo nemmeno a farla. Quale sarà il risultato secondo voi? Saremo in grado di farla o no, prima o poi? Beh, se non ci siamo allenati credo proprio di no, non trovate?
Quindi come interrompere questo circolo vizioso? Ecco la mano da tenere sempre in tasca:
Pollice: considerare che siamo diversi e ciascuno è libero di provare affetti differenti difronte a eventi simili.
Spesso si corre il rischio di generalizzare e di credere che dovremmo sentire e pensare tutti allo stesso modo. Forse sarebbe più semplice, ma forse sarebbe anche più monotona la vita, no?
Indice: Non pensare al posto dell’altro, ma concedergli il diritto di pensare diversamente da noi (ovviamente è una diretta conseguenza del punto precedente).
Lasciamo all’altro la possibilità di decidere cosa provare nei nostri confronti e come comportarsi; noi ci regoleremo di conseguenza perché anche noi, a nostra volta, siamo persone libere di provare ciò che proviamo.
Medio: Evitare di valutare e giudicare come falso il sentire dell’altro, ma comportiamoci “come se” fosse vero. Quindi nel momento in cui una persona ci rivolge un complimento (“Come ti sta bene questa maglietta!”) potremmo rispondere con un semplice e graditissimo: “Grazie!”, invece di togliere valore al complimento (“Mah è vecchia!”).
Anulare: Sfidare ogni giorno le nostre credenze e convinzioni per modificarle. Ovviamente questo va fatto se ci accorgiamo o ci fanno notare che il nostro modo di pensare ci porta a non stare bene con noi stessi e/o gli altri. Ogni giorno quindi proviamo a ipotizzare almeno tre ragioni differenti (perché 5 possono sembrare tante all’inizio) a ciò che si discosta dalla nostra credenza. Quindi se mi rispondono male, invece di pensare solo: “Ecco ho sbagliato tutto un’altra volta” (e già ci sarebbe da ridire qualcosa sul tutto, ma è un’altra storia) affianchiamolo a un: “Si sarà svegliato storto stamattina”, “Avrà discusso con qualcuno”, “Avrà fretta”…
Mignolo: per concludere citando Einstein: “Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose”.
E allora sfruttiamo i nostri momenti di crisi per trasformarli in opportunità di crescita!
Ciao! Alla prossima!
Dott.ssa Elisabetta Gusmini
Psicologa Treviglio