Quando pensiamo a persone che soffrono di disturbo da accumulo con molta probabilità pensiamo a un disagio che colpisce poche persone, magari relegate ai margini della società, con difficoltà economiche. Di fatto l’incidenza del disturbo non è poi così bassa come siamo portati a credere. E’ un disturbo che colpisce, incuriosisce, che si fatica a comprendere. Il disturbo da accumulo è qualcosa di diverso dal disturbo ossessivo compulsivo.
Il disturbo di accumulo è stato tradizionalmente assimilato al disturbo ossessivo compulsivo. Era considerato una sua espressione. L’avanzamento degli studi però, ha portato nel 2013 a descriverlo come disturbo a parte, diverso dal disturbo ossessivo compulsivo. L’accumulare non è un rituale, non soddisfa il bisogno di placare l’ansia in seguito ad un’ossessione, ma l’ansia è vissuta laddove alla persona venisse richiesto di separarsi da un oggetto.
Ciò che caratterizza in modo specifico il comportamento della persona che soffre di tale disturbo sono la sua difficoltà a sbarazzarsi di un qualsiasi cosa sia incluso nei propri spazi di vita oltre che all’eccessiva acquisizione di nuovi oggetti perché “si sa mai potrebbe servire”, “era un’offerta irrinunciabile”, “mi tornerà senz’altro utile per un regalino”… ma poi quel regalino non esce più dell’armadio in cui è stato riposto.
Questo squilibrio tra quanto viene acquistato o recuperato e ciò di cui non si è più in grado di liberarsi produce via via un restringimento degli spazi vitali, impossibilità a pulirli, mancanza di igiene, vergogna, isolamento.
Sembra che alla base del disturbo da accumulo ci siano fattori di diversa origine.
Da una parte ci sono spiegazioni legate a deficit in alcune funzioni cognitive che rendono complesso per la persona riuscire a elaborare e valutare le informazioni a disposizione. Questo implica che la persona sia attratta e focalizzata su un oggetto senza riuscire ad inserire quel dato all’interno di un contesto. Quindi per la persona è complesso decidere quale oggetto tenere e quale buttare.
Dall’altra la difficoltà potrebbe nascere da un rapporto particolare che la persona instaura con gli oggetti. Questi ultimi infatti possono rappresentare una opportunità in quanto potrebbero tornare utili in un futuro prossimo o remoto e anche una connessione, un legame con una parte della propria storia personale e non solo.
La persona che accumula senza mai sbarazzarsi, potrebbe trovarsi in questa condizione anche per paura di perdere informazioni che potrebbero rivelarsi importanti per lui. Per questa ragione i giornali per esempio, non possono essere buttati. Ma anche le riviste che escono quotidianamente in edicola potrebbero contenere notizie fondamentali per la vita della persona.
Sebbene il disturbo sia presente dal 2 al 5% dell popolazione, è stimato che solo il 25% di questa richieda aiuto. Di fatto chi soffre del disturbo di accumulo non lo vive come un problema e perciò non corre ai ripari.
Solitamente sono i familiari a voler trovare una soluzione ad un situazione che diventa sempre più insostenibile.
Una strategia che può rivelarsi utile è quella della riduzione del danno, ossia il cercare non tanto di risolvere il problema nella sua totalità, quanto piuttosto di limitare la portata autodistruttiva del fenomeno. Questo tipo di approccio non è da sottovalutare in quanto permette ai familiari di fare realmente qualcosa per mettere in sicurezza e tutelare se stessi oltre che il soggetto col disturbo. Spostare l’attenzione dal “risolvere il problema della roba e dell’accumulo una volta per tutte” ad una prospettiva più circoscritta ai pericoli immediati rende più accettabile gli interventi e più semplice la collaborazione. E’ più probabile che le resistenze vengano allentate e che si apra la strada ad un futuro aiuto specialistico.
In quest’ottica interventi di eliminazione degli oggetti non solo non risolvono il problema, ma lo possono aggravare aggiungendo altri disturbi quali panico o depressione.
Al momento attuale la terapia che ha mostrato maggiori risultati, anche se i numeri di abbandono sono alti, è la terapia comportamentale. Essa lavora e agisce sui seguenti fattori:
L’obiettivo è quello di accompagnare la persona a confrontarsi sia con l’ansia che deriva dalla separazione degli oggetti ai quali le persone che soffrono del disturbo vengono esposte sia con i pensieri che sorgono da questa esperienza al fine di ristrutturarli.
dott.ssa Elisabetta Gusmini
Psicologa Treviglio