Il dolore è un’esperienza sensoriale ed emozionale negativa da cui in molti cercano di tenersi alla larga. Eppure, anche se non ci piace, è necessario alla sopravvivenza.
Il dolore di fatto, oltre a segnalare uno stato di malessere che altrimenti non verrebbe affrontato portandoci ad un peggioramento, è fondamentale per lo sviluppo delle nostre competenze relazionali e sociali.
Il dolore può essere sia fisico che psicologico; è un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata ad un danno dei tessuti, oppure ad una dimensione affettiva e cognitiva.
Può essere dato da:
Di fronte a questi eventi le persone possono avere reazioni differenti:
Un dolore, di qualsiasi natura sia, lascia delle cicatrici delle quali è importante prendersi cura per evitare che diventino purulente. Spesso però non sappiamo esattamente come fare e nel tentativo di sollevarci, ci complichiamo ulteriormente la vita.
Affrontare un dolore significa avere il coraggio di passarci in mezzo, di viverlo fino in fondo, di lasciare che il tempo decanti le cose. Riuscire a fare questo è in molti casi difficile, perciò si tende ad evitare, a mettere da parte, si cerca di non pensare. Questo però produce insoddisfazione, lamentele, agitazione, rinuncia.
Possiamo invece trovarci nella situazione in cui non siamo noi in prima persona a vivere il dolore, ma una persona a noi cara, come per esempio un figlio. Come genitori possiamo sentirci impotenti e sopraffatti e vorremmo che quell’esperienza faticosa che nostro figlio sta vivendo sparisse in fretta, senza renderci conto di quanto sia invece importante che la viva appieno. Questo è fondamentale per la crescita del bambino, ma anche dell’adulto.
Al contrario possiamo non renderci conto della fatica che nostro figlio sta attraversando e minimizzando lo spingiamo oltre le sue possibilità.
Noi adulti perciò, difronte al dolore di nostro figlio tendiamo a sostituirci e mettiamo in atto comportamenti conseguenti quali la consolazione senza aiuto concreto a reagire, la minimizzazione della sofferenza, offrire indicazioni inattuabili per il bambino. A volte addirittura ci arrabbiamo.
Un’altra cosa che spesso facciamo è quella di far evitare eventi o situazioni che possono essere dolorose, evitiamo che i nostri figli si confrontino con emozioni classificate come “negative” allo scopo di proteggerli.
Ma come può imparare una persona piccola o grande che sia, a fronteggiare le avversità della vita, se le evita?
A questo proposito vi racconto un episodio a cui mi è capitato di assistere.
Fuori dalla scuola, mentre aspetto che mia figlia esca sto chiacchierando con una mamma. Questa mi rivela di essere finalmente in dolce attesa e già nel quarto mese di gravidanza. “Finalmente” perché di fatto aveva perso due bambini prima di questo. Mi confessa di non aver voluto dire nulla a nessuno, in particolare alla figlia che sta per uscire fuori da scuola insieme alla mia, perché aveva paura che avrebbe potuto restarci male. “Che le avrei potuto dire?” domanda retoricamente.
Tale tipo di atteggiamento non fa che preparare un maggior dolore, perché non ci allena attraverso le piccole sofferenze che la vita comunque ci presenta. Avremo perso l’occasione di mostrare a nostro figlio che la sofferenza può essere vissuta e superata.
Di fatto il dolore affrontato e non visto come qualcosa di malvagio e pericoloso, ci rende consapevoli delle nostre possibilità, delle nostre risorse e ci dispone a lavorare sui nostri limiti, per migliorarli.
Come dicevo prima, il dolore lascia una ferita che si rimargina quanto più velocemente se disinfettata, curata, ma rimarrà sotto forma di cicatrice.
Come fare, per uscir di metafora, a disinfettare e prendersi cura del dolore?
Elisabetta Gusmini
Psicologa Treviglio