Nello scorrere quotidiano della vita non si può sempre arrivare dappertutto, ma ogni evento è occasione o per imparare qualcosa di nuovo o opportunità per ricordare a se stessi quanto valga la pena tenere in memoria alcune “regole”.
Vi racconto questo episodio.
Una mia carissima amica ha quattro figli e, lavorando e non avendo nonni o zii a disposizione, ha affidato, nel corso degli anni, i bambini al suo nido di riferimento (ovviamente uno per volta J). Premessa, non fa altro che parlarmi bene del personale che in esso vi lavora.
Sta di fatto che in una occasione di festa ha sentito dire all’educatrice che è stata educatrice prima di uno e ora di un altro figlio una frase del genere: “Ma lo sai Simone che dico sempre a Paolo quanto eri più bravo tu?”.
La mia amica a cui non piacciono affatto i confronti, è rimasta colpita dal fatto che fosse stato utilizzato e così a distanza di giorni, decide di riferirlo all’educatrice.
Lo fa una mattina, chiamandola in un angolo della sala, usando più o meno queste parole: “L’altro giorno alla festa ti ho sentito dire a Simone ‘Lo dico sempre a Paolo che sei più bravo di lui’. Potresti non farlo più? I confronti non mi piacciono”.
Diversamente da quanto si aspettava ha visto l’educatrice rabbuiarsi e il clima si è raggelato.
Secondo voi cosa è successo? Cosa non è andato?
Ovviamente dal titolo di questo scritto avrete capito che c’entra la puntualizzazione.
In primo luogo, Cosa significa puntualizzare?
Definire con precisione, fare il punto di una situazione (da lo Zingarelli vocabolario di lingua italiana, Zanichelli).
Secondo Giorgio Nardone (psicologo e psicoterapeuta) il puntualizzare le situazioni, le sensazioni, le emozioni, le condizioni è la tendenza delle persone che, più o meno consapevolmente, vogliono “tenere sotto controllo e programmare nel miglior modo possibile la relazione” (da Correggimi se sbaglio, pag. 12).
Quali sono gli effetti di questa modalità comunicativa?
Lo scambio emotivo viene sottoposto ad una analisi razionale. La comunicazione però non è solo razionalità; al contrario è soprattutto affettività. Se ripetuta nel tempo, tale strategia impoverisce i legami che uniscono le persone, in quanto la ragionevolezza di una puntualizzazione produce reazioni emotive in contrasto con la logica.
Quando la puntualizzazione non è una strategia ripetuta nel tempo, ma è un episodio dentro un arco di tempo piuttosto lungo di conoscenza tra le persone come nel caso della mia amica, può essere una strategia utile e sana, ma con delle accortezze. La modalità da lei utilizzata rischia infatti di essere vissuta da chi la riceve (in questo caso l’educatrice), come una pugnalata alle spalle.
Come fare quindi?
In primo luogo troviamo il momento e il luogo adeguato per dimostrare una rimostranza.
In secondo luogo trasformiamo la frase che si intende pronunciare in “messaggio io”. Questo significa costruire una frase alla prima persona singolare (io, appunto) e non alla seconda (tu). In questo modo noi ci assumiamo la responsabilità di non aver capito e non diamo l’impressione all’altro di accusarlo (se non è quello che vogliamo ottenere).
In questa direzione, nel libro già citato, Giorgio Nardone, suggerisce:
Fare domande crea un clima di collaborazione e un atteggiamento di comprensione piuttosto che di ricerca del colpevole. La nostra posizione è quella di colui che vuole capire come stanno le cose.
Tale punto si caratterizza dal chiedere conferma alle risposte ricevute in seguito alle domande proposte. Questo è un modo per rafforzare ciò che sta emergendo dalla comunicazione.
Significa saper toccare le corde emotive dell’altro attraverso delle immagini; implica il far sentire ciò che proviamo piuttosto che farlo capire.
Ogni cambiamento per realizzarsi ha bisogno di essere messo in pratica, il pensiero da solo non basta. E’ utile perciò concordare l’azione successiva da realizzare.
Detto questo, tornando alla mia amica, cosa sarebbe stato utile facesse?
Sicuramente creare una situazione più consona, perciò concordare un luogo e un tempo con l’educatrice.
“Ho bisogno di parlarti, quando e dove possiamo farlo?”.
Una volta fatto questo e arrivato il momento: “Il giorno della festa ti ho sentito dire a Simone ‘Lo dico sempre a Paolo che sei più bravo di lui’ … Il confronto è una modalità che utilizzi spesso o quel sempre è stato un modo di dire, una svista?”
Immaginiamo che l’educatrice risponda: “E’ stata una svista, no il confronto non è un mio stile educativo”.
La mia amica: “Quindi se ho capito bene, il giorno della festa ti è capitato di confrontare Simone e Paolo, ma è stata una svista perchè il confronto non è una tua abitudine”.
L’educatrice molto probabilmente affermerà: “Esatto!”
La mia amica: “Sai sono sempre molto spaventata dai confronti, ho sempre il timore che possano incasellare, etichettare i bambini non lasciandoli liberi di essere quello che sono. Secondo te, la prossima volta che ho il dubbio di non aver compreso bene, è utile che venga a domandare o è meglio che me lo tenga?”
Al di là di ciò che può apparire come una ricetta magica, è bene imparare a riflettere sul fatto che molte incomprensioni nascono dalle parole che utilizziamo per approcciarci agli altri. Cambiare strategia può essere un valido aiuto per migliorarci e intessere relazioni costruttive.
dott.ssa Elisabetta Gusmini
Psicologa Treviglio