Quando lo stress diventa minority stress…

Quando lo stress diventa minority stress…Per minority stress si intende quella forma cronica e non acuta di stress provocata da un’esperienza continua di incongruenza tra la cultura, i bisogni e le esperienze della persona appartenente ad un gruppo minoritario e le caratteristiche sociali della comunità dominante. Si intende quel disagio psichico proveniente dall’esperienza di discriminazione, pregiudizio e stigmatizzazione.

Una persona omosessuale, in particolare, si confronta con tre dimensioni del minority stress:

  1. esperienze vissute di discriminazione e violenza, cioè il divenire bersagli di rifiuto, discriminazione e violenza per il solo fatto di appartenere ad un gruppo e ad una comunità stigmatizzata dalla cultura dominante. Le esperienze omofoniche spesso avvengono in un contesto socio-culturale indifferente o addirittura collusivo.
  2. stigma percepito, il quale consiste nella percezione del rifiuto sociale che aumenterà l’aspettativa che accadano gli eventi sopraccitati e porterà ad un aumento del livello di vigilanza e di sensibilità all’ambiente;
  3. omofobia interiorizzata, rappresenta la componente “soggettiva” del minority stress e riguarda l’atteggiamento negativo e conflittuale che le persone omosessuali possono avere nei confronti delle proprie fantasie e dei propri pensieri. L’APA riconosce che i principali agenti di predisposizione all’omofobia interiorizzata sono i pregiudizi individuali e l’intolleranza sociale nei confronti dell’omosessualità.

Allo scopo di valutare quanto il minority stress possa interferire con il benessere della persona, in terapia è utile indagare il livello di autostima, il sostegno sociale e le strategie di coping utilizzate.

L’autostima è la considerazione, la valutazione, positiva o negativa, che un individuo ha di se stesso.

Nel caso di gay e lesbiche, l’autostima può subire dei duri colpi in modo continuativo (Herek et al., 2009), causando conseguenze significative sul benessere globale del soggetto e portando, in molti casi, a stati di depressione ed ansietà (Rosenberg et al., 1995; Herek et al., 2009). E’ proprio infatti quando il soggetto è in uno stato depressivo che tende a valutarsi erroneamente ed a svalutare se stesso (Galimberti, 2006). Alcuni studiosi (Crocker, Major, 1989; Croker et al., 1998; Croker, Quinn, 2000, Herek et al., 2009) ritengono che lo stigma percepito non sempre abbia effetti negativi sull’autostima. Se la persona è capace di ricercare sopporto all’interno del proprio gruppo di appartenenza è in grado di contrastare gli effetti negativi derivanti dalla discriminazione, si sente più a suo agio con se stessa per il fatto di trovarsi in un ambiente con altri simili a sé che lo possono supportare.

Gli studi dimostrano perciò che l’autostima da sola non predice benessere psicologico, ma deve essere accompagnata dal sostegno sociale che la persona può costruire attorno a sé.

Di fatto il senso di coesione con il gruppo minoritario permette di valutare se stessi in relazione agli altri membri piuttosto che in relazione a coloro che fanno parte della cultura predominante, permettendo quindi di proteggersi dalla svalutazione di siffatto confronto. Il senso di appartenenza, la solidarietà e la coesione all’interno della comunità omosessuale hanno una grande importanza nel contrastare gli effetti negativi che derivano dal fatto di appartenere ad una minoranza (Croker et al., 1989; Meyer, 2003; Herek et al., 2009).

Le strategie di coping che possono essere di aiuto alla persona omosessuale per proteggersi dagli effetti negativi del minority stress possono essere di diversi tipi: riflessiva, soppressiva e reattiva.

In particolare la strategia riflessiva può attenuare l’associazione tra discriminazione percepita e sintomi depressivi, mentre la strategia reattiva e soppressiva possono rafforzare questa associazione. Di fatto, coloro che utilizzano una strategia di coping riflessiva, sono anche in grado di pensare soluzioni a breve e lungo termine per far fronte alla discriminazione e utilizzano le proprie risorse psicologiche per difendersi in modo costruttivo. Coloro che al contrario utilizzano strategie di coping di tipo soppressivo tendono a favorire una risposta passiva alla discriminazione. In particolare sembra che percepiscano gli atti discriminatori come degli attacchi alla propria persona, al punto di colpevolizzarsi e di sentirsi in colpa invece di cercare un modo per ribellarsi.

Coloro che utilizzano strategie di coping di tipo reattivo, così come coloro che hanno una bassa autostima, sembrano essere più vulnerabili a sviluppare sintomi depressivi.

dott.ssa Elisabetta Gusmini

Psicologa Treviglio

Bibliografia

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Crocker, J., Major, B. (1989). Social stigma and self-esteem: The self-protective properties of stigma. Psychological Rewiew, vol. 96, 608 – 630.

Crocker, J., Major, B., Steele, C. (1998). Social stigma. In Meyer I.H. (2003). Prejudice, Social Stress, and Mental Health in Lesbian, Gay, and Bisexual Populations: Conceptual Issues and Research Evidence. Psychological Bulletin, vol. 129, n. 5, 674 – 697.

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Galimberti, U. (2006), Enciclopedia di psicologia. Torino: Garzanti Libri.

Herek, G.M., Gillis, J.R., Cogan, J.C. (2009). Internalized stigma among sexual minority adults: insights from a social psychological perspective. Journal of Counseling Psycology, vol. 56, n. 1, 32 – 43.

Lingiardi V. (2007), Citizen gay : famiglie, diritti negati e salute mentale. Il Saggiatore, Milano

Meyer, I.H. (2003). Prejudice, Social Stress, and Mental Health in Lesbian, Gay, and Bisexual Populations: Conceptual Issues and Research Evidence. Psychological Bulletin, vol. 129, n. 5, 674 – 697.

Rosenberg, M., Schooler, C., Schoenbach, C., Rosenberg, F. (1995). Global selfesteem and specific self-esteem: different concepts, different outcomes. American Sociological Review, vol. 60, 141 – 156.

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